"Per ignota destinazione" seconda parte
di Piero Farina

Sul treno appena lasciata la Stazione Termini.

Riusciamo a malapena a sistemarci nel nostro scompartimento dato che lo spazio disponibile deve contenere non solo noi cinque, ma anche tutta l’attrezzatura per le riprese. Il treno lascia quasi subito la stazione e guadagna lentamente velocità. Davanti al finestrino scorrono i quartieri nord occidentali della città, poi la campagna.

Alla fine di giugno i campi si estendono ancora verdi fino all’orizzonte, un paesaggio che invita al riposo, assai simile a quello che cinquantuno anni fa scorreva di fronte al convoglio piombato dove, ammucchiata ed impaurita, giaceva la gran parte degli ebrei portati via dal ghetto con la forza o con l’inganno.

Quanti dei suoi compagni di sventura saranno riusciti a prender sonno addossati com’erano l’uno all’altro in un viaggio dove nessuno era a conoscenza del perché e del dove di quella trasferta coatta con una destinazione ignota.  

A chi languiva nei carri non era concesso alcuno spiraglio d’aria né lama di luce e non vi era alcun rispetto per l’intimità della persona neppure nei momenti più elementari delle necessità fisiologiche.

Speaker: "La popolazione ebraica mondiale conta, all’inizio del secolo, oltre tredici milioni di persone e di queste soltanto quarantamila, nel 1931, risultano residenti in Italia. È di quegli anni un'intesa tra gli ebrei italiani e il governo fascista che di fatto pone sotto il controllo governativo tutte le comunità ebraiche della penisola rendendo obbligatoria per ogni ebreo l’iscrizione all’Unione delle comunità israelitiche. Nella seconda metà del decennio il regime fascista gode di momenti di grande popolarità ed è naturale chiedersi come in un paese dove sono stati cancellati molti diritti delle minoranze e della persona possa vivere un cittadino di religione ebraica".

Torino.

S’una collina che domina la città, oggi vive Giuliana Fiorentino Tedeschi che, come Piero, è stata deportata. Venti giorni fa, durante il nostro giro per registrare le testimonianze degli ebrei che risiedono nell’Italia del Nord, ci ha ricevuto nella sua bella casa con la dolcezza di una persona che dopo la deportazione ha saputo, dopo anni di smarrimento e sofferenze psicologiche, ritrovare  il suo equilibrio.

Milano.

Teo Ducci sembra avere ancora sul suo viso i segni di quanto ha vissuto. Parla un po’ a scatti, quasi a fatica, ma con grande decisione e chiarezza. 

Venezia.

Intervisto Marco Salvadori nel suo magazzino-laboratorio. Marco ha quasi settant’anni, ma ancora un aspetto assai vigoroso. Da giovane oltre che partigiano è stato anche vogatore e in laguna ha fatto per anni il gondoliere, capacità che dimostrerà di non aver perduto durante le riprese lungo il Canal Grande.

Roma.

A Roma intervistiamo nel suo studio accanto alla sinagoga Elio Toaff, il capo rabbino della comunità ebraica più influente d’Italia. 

Mario Luzzatto vive nei pressi di Piazza di Spagna, all’attico di un palazzo da cui si vede tutta la città. La magnificenza del panorama e la ricchezza della casa ci mette un po’ a disagio. Per sfruttare meglio la luce poniamo la poltrona per l’intervista di fronte a un corridoio che s’apre su un numero interminabile di stanze.

Milano.

Guido Lopez non è mai stato deportato, tuttavia è un testimone vivace e documentato sul periodo che ha immediatamente preceduto la guerra. Vive in una casa piena  dei ricordi del padre Sabatino, commediografo. Di età già avanzata, con una capigliatura che ricorda quella di Albert Einstein, è molto simpatico e sottolinea ogni parola con una mimica facciale così accentuata ed umoristica, da rendere il suo viso estremamente fotogenico.

Firenze.

Gino Servi ci riceve in una stanza dominata da un grande candelabro ebraico. È nato e ha vissuto l’intera giovinezza a Pitigliano, la cittadina che, per il gran numero di ebrei osservanti, è conosciuta come la “Gerusalemme italiana”.

Roma. 

Giacometta  Limentani è una bella signora che abita nel quartiere dei Prati. La dignità e la correttezza dell’eloquio le danno una distinzione che rivela la sua appartenenza al mondo un po’ esclusivo degli ambienti militari di grado elevato. Subito dopo l’intervista facciamo alcune riprese in Via Cola di Rienzo e il  volto di Giacometta è di particolare fascino mentre, camminando tra i passanti, compare e scompare più volte nell’inquadratura del teleobiettivo.

Sul treno.

Dal buio alla luce e il treno esce da una galleria. Danilo mi fa segno che l’intervista può proseguire e Piero sillaba una ad una le parole come se, ricordando quanto è accaduto, facesse fatica a pronunciarle.

Milano.

Roma.

Bice Chiaromonte Foà, la moglie del deputato comunista all’epoca deceduto da poco tempo, ci riceve nella sua casa di Trastevere.

Roma.

Lia Levi ha scritto il libro “Una bambina e basta', la cronaca  degli anni che hanno preceduto le leggi antiebraiche e quella dei giorni immediatamente successivi alla loro promulgazione.

Il volto della nipotina, presente nel documentario, restituisce alle parole del libro tutto il candore e la sorpresa della allora piccola Lia che, nell’ingenuità di bambina, è incapace di comprendere quanto sta avvenendo nel mondo dei grandi. 

Firenze. 

Milano.

Roma.

Milano.

Milano.

Sul treno che avanza verso il confine di Stato.

Milano.

Milano.

La telecamera di Danilo inquadra Guido Lopez, ripreso di spalle mentre avanza per una via parallela di via Pancaldo dove si trova la sua abitazione. Mentre Lopez cammina mostrando la sua simpatica calvizie, s’ode la voce di Delia Lodi, una cantante che si poteva ascoltare dai microfoni  dell’EIAR negli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale: “No, tu non sei più la mia bambina, ma una moderna signorina, che gioca con l’amor … No, così truccata non mi piaci, son troppo gelidi i tuoi baci, per riscaldarmi il cuor…”

La voce, un po’ stridula e segnata dal tempo del 78 giri, introduce l’incontro di Guido Lopez con Maria Antonietta Agnoletto, uno dei pochi momenti teneri e sereni dell’intero filmato. 

Maria Antonietta appare molto sicura di sé e dalla disinvoltura con cui s’esprime si capisce assai bene che a condurre l’innocente gioco d’amore era proprio lei che cercava di scoprire in ogni gesto dell’amico la natura dei suoi sentimenti. Guido invece, dopo cinquantadue anni, appare ancora come intimidito proprio dal desiderio di scoprire quanto Maria Antonietta stia pensando o forse è in attesa che, almeno adesso, di fronte alla telecamera, il suo lontano, inconfessato amore, dopo tanto tempo, si esprima con maggiore chiarezza.

Roma

Aldo Zargani ha scritto “Per violino solo”, un’autobiografia dove narra la sua vita di bambino accanto al padre, professore di musica presso l’Orchestra di S. Cecilia, nei mesi in cui le leggi antiebraiche hanno avuto il loro perverso effetto sulla vita quotidiana della comunità ebraica romana. Per coprire l’intervista penso di andare assieme a lui e al nipote, un bambinello di tre anni, in una zona verde di valle Aurelia posta all’incrocio di via Baldo degli Ubaldi con via Anastasio II, nei pressi della sua attuale abitazione.

Zargani e il nipotino procedono in asse macchina a una cinquantina di metri dalla telecamera, tenuti sempre in primo piano da Danilo che, a mano a mano che nonno e nipotino avanzano, allarga progressivamente l’inquadratura. Per la scarsa profondità di campo Zargani e il bimbo sembrano inoltrarsi in un mare di verde mentre attorno s’accumulano le case e s’ode la presenza assordante del traffico cittadino.

Firenze

Torino

Roma.

Torino.

Roma.

Torino.

Milano.